Archivio per Maggio, 2011

Willy Vlautin’s Blues

Pubblicato: 30 Maggio 2011 in Blues

E’ piuttosto facile scrivere ascoltando la voce di Willy Vlautin. Quelle storie che sbucano da cumuli di neve sporchi. Che s’illuminano di neon rossi di casinò e fari d’automobili lanciate verso il nulla, con bionde tristi al volante, gente di mezz’età che non ha più niente davanti a sè, stracci d’umanità abbandonati al capriccio del vento, amori che non vanno e asfalto asfalto asfalto e cadaveri d’animali. E’ semplice la solitudine, di notte. E’ un attimo. Una curva presa male. Un fiume denso e scuro. Una voce, non importa lo strumento. E’ Hank che s’infila gli stivali all’alba. E’ la tua miglior ragazza che serve hotdog a un grasso rappresentante d’aspirapolveri. Sei tu che vai a letto, perchè il sonno saprà di gloria, rose e cespugli di sole. E intanto fuori i ragni tessono la tela, gli uccelli aspettano pazienti e i cani piangono in silenzio. E’ semplice la strada, stanotte. Sempre dritto, nel culo stretto della Morte.

L.

disco: “Midnight At The Movies”, Justin Townes Earle.

Chorus #4

Pubblicato: 28 Maggio 2011 in chorus

E’ il contrabbasso la chiave. L’alveo in cui abbandonarmi. Lasciarmi. Addormentarmi. Perdermi. L’umore della corda tesa. Lo “slap” musicale della vita. Il ritmo caldo dell’orchestra. Il mastodontico passo di un gigante barbuto. Ecco. Il thumb thumb thumb sofferto del tuo solitario “chorus”. Come uno di quegli esseri arborei che scuotono le foreste, che spaccano il legno come fa il fulmine. E, sotto, una pioggia fatta di pianoforte, il dissesto degli attimi. Il crollo pilotato della Terra. Lo squarcio in cui cadere. Il gonfio ventre dell’oblìo. Il dimenticarsi dell’Amore: essere solo ritmo, frenetico schianto di sassi. Ingoi di pozzi scuri. Contrabbassi hipsters nella notte. E il sax fugge dalla montagna, dalle inutili braccia di Monk. L’immenso cielo, sfigurato, assiste, attonito.

L.

disco: “Monk’s Dream”, Thelonious Monk.

Death Don’t Have No Mercy

Pubblicato: 23 Maggio 2011 in Musica

Tears & blues. Mi sembra di sentire ancora i miei nervi scuotersi nei temporali dei miei vent’anni, infangarsi nella pioggia, mentre i Grateful Dead, attraverso il Rev. Gary Davis, cantavano “Death Don’t Have No Mercy”, al Fillmore West, anno di grazia 1969. Quell’assolo di Jerry, la sua voce sofferente, la Morte che sorrideva con un violino fra le sue mani e un bouquet di rose uccise una ad una dal vento. Non credo che i ragazzi di Frisco l’abbiano più cantata così. Pig Pen, gonfio e splendido, moriva sotto i suoi baffi, a poco a poco. Io restavo a contarmi le ferite. Le morti. Gli addi. E non capivo. Ero sangue ed entusiasmo. Testa fra le mani nel dolore assurdo di questa canzone. Nella perfezione acida della musica. Ossa e solitudine. Cielo e gabbia di stelle. Tamburi di stagioni. America, oh America, dove sei? Una lenta trivella nell’incrostazione della Terra, alla ricerca della luce. Oh, America, prendi quella morte di carne e vene rotte e trentacinque chili. La morte non ha pietà in questo mondo. Fai quello che devi fare, nello splendore del sole.

L.

disco: “Live/Dead”, Grateful Dead.

Chrous #3

Pubblicato: 21 Maggio 2011 in chorus

Alla finestra, come in una vecchia canzone di Townes Van Zandt. Un semplice squarcio nel cielo, qualcosa che non potete capire. La via di fuga, la mia strada verso Pulaski, Tennessee. La mia strada blu fatta di opossums, steel guitars e amori mai nati. Il mio coast to coast dei nervi. Il mio tiepido vento di montagna. Il profumo grasso della festa. Il bruciare dei sabato sera. Il tuo “ciao” detto col fiato corto. L’imprigionarsi fra braccia e mani. Il tuo bacio. Resto alla finestra e “Delia” che risuona dentro i vent’anni. E assi di legno al posto dei vostri sorrisi. Alle attese. Agli sbagli. Townes Van Zandt nell’altra stanza. Siamo fatti di stanze, piante che lottano per sopravvivere, piedi scalzi nell’estate e bottiglie vuote, una dietro l’altra, a contarci le sconfitte. Sono sulla strada per Pulaski. Non c’è nessuno accanto a me. Fantasmi e null’altro. Finestre, strade e luci e Townes Van Zandt che piange nel buio. Rose che fioriscono nei cimiteri e banjoes scordati. Il resto è solo una domenica mattina con il sole. E la tua assenza.

L.

disco: “Go Go Boots”, Drive By Truckers.

Chorus #2

Pubblicato: 19 Maggio 2011 in chorus

Ecco, non volevo passare da qui. Volevo lasciarle vuote, queste Grotte, stasera. Volevo restare ai margini. Seduto sulla morbida collina da dove guardo il mondo. Mi ci ha portato la tromba di Miles Davis. Mi ci ha portato un rancore. Un abbaiare di vene. Mi ci porta la vita. Quella parvenza d’immortalità. Quel creare per i posteri. Quell’arrendersi, in ginocchio, al dolore. Quelle risa un po’ stordite dal vino. Quelle mani, cavalli sciolti dal tuo corpo misterioso. Non avrei dovuto esserci. Chiuso nella mortalità di un libro, nella strada grigia che sa di asfalto e buche. Nel delirio scuro della città che s’addormenta. Luci come coltelli, in ripetuti assassinii di carne pallida. Non avrei voluto vedere. Non ancora, stasera, il lento morire tuo, sui gradini di un cortile.

L.

Chorus #1

Pubblicato: 18 Maggio 2011 in chorus

Una sera da stare fuori con te. Una sera d’ascoltare i tuoi passi lungo le Mura. Una sera da panchina, nel buio che morde. Una sera con i tuoi lunghi capelli neri arresi a quel poco vento che c’è. Una sera di mani e di desideri. Una sera dove ti volti e la tenerezza del tuo sguardo è luce improvvisa e vita. Una sera in cui domani è come quell’orizzonte che si vede, tremito di torce nel profumo della primavera. Fontane e prati. Angoli rotondi d’incredibile amore. Fatica e occhi. E ancora fontane. E leoni di pietra. E notte. E tempo che scivola su ciò non saremo mai. Una sera come una lunga alba. Una sera fra i sorrisi e gli addii. Una sera col mio viso sulla tua spalla. E ancora scale, pietra e quel profumo d’erba. E ho freddo. Stasera. E il tuo vestito che non è sufficiente per questa inutile notte. L.

disco: “I’ll Never Get Out Of This World Alive”, Steve Earle.

Oldies But Goldies #1

Pubblicato: 16 Maggio 2011 in Old Days

Recuperando frammenti di Grotte (ver. 1.0).

(2 Giugno 2006)

L’amore ha forme mutevoli, aliene, è un lampione indefesso che fa le regole alle 4 di notte. L’amore va e non si guarda indietro, si trascina per la città come un cane rognoso e affamato. L’amore inizia e finisce sulla tua pelle, nella linea perfetta della tua schiena, nella rotondità del tuo culo, nell’immane maternità dei tuoi seni. L’amore può essere Bud Powell. L’amore è una finestra accesa con una figura che si pettina i lunghi capelli. L’amore sono le foglie che non si muovono. L’amore è una risata. L’amore è quando non vedi più le stelle. L’amore è un ladro nella stanza di un bambino. L’amore è stasera, ma resterà per poco. L’amore è muto.
L.

Oh, Sister

Pubblicato: 15 Maggio 2011 in Musica

Ascolto questa versione di “Oh, Sister”, Bob Dylan, fatta da questi misteriosi “String Quartet”, a quanto pare dediti ai tributi più disparati. Ascolto e riascolto. La solitudine, lo struggimento di una canzone già così suggestiva nella sua versione originale, con il violino di Scarlet Rivera e quella voce che sapeva di sconfitta e d’abbandono, vengono qui amplificati dai suoni classici di un quartetto d’archi, atterrendo. La fascinazione dell’Arte che muta, che si dissolve per riaversi in nuove forme. Resto così, nella mia stanza che è ormai organismo vivente di me stesso, quasi recipiente cronenberghiano, pulsante carne tesa verso il cielo, organismo onnivoro e decadente. Sullo sfondo di questo violino c’è una sera che sa di post battaglia, quando si sa che la guerra non è vinta, ne lo sarà mai. Una sera che ha la sua catarsi in questa canzone. Si siede col sole, in un abbraccio confuso di nuvole.

“Siamo cresciuti assieme dalla culla alla tomba. Siamo morti e rinati e misteriosamente salvati”.

L.

Welcome

Pubblicato: 14 Maggio 2011 in Info

Oh, eccoci. Queste Grotte sembrano più accoglienti. Si riprende il viaggio, saltuario, verso nessuna particolare meta. Che poi, sono i viaggi migliori. Se volete farmi compagnia, potete lasciare un segno cliccando sulla nuvoletta-fumetto qui sopra, a destra. Mi farebbe piacere. Questo è un viaggio solitario, ma una buona compagnìa aiuta a superare meglio le distanze. Con amore, sempre.

L.

Howlin’ Wolf’s Blues

Pubblicato: 14 Maggio 2011 in Blues

Howlin’ is gone. Lasciando tremare la terra, ad ogni passo. Scavando letti di fiumi con le mani. Ombra di gigantesche magnolie, Howlin, il tuo urlo insegue le anse del Mississippi. La luna si svela fra le nuvole, odora di pioggia e sesso. La strada ha colore di ghiaia. Ci sono spazi & spazi riempiti da contrabbassi pesanti come pugni. Una finestra gialla come un dente morto nel ghigno sommesso della notte. Una donna s’asciuga la fronte nell’afosa sera di Maggio. Groviglio di temporale, attende. Un blues che sa d’acciaio e amore. Bocche. Scarti di rossi spiragli nell’oscurità che avanza. Mani che cercano mani. Case che diventano alba & tramonto. Lunghezze di vita, dove vita non c’è più. Howlin’ is gone. Cerco poesia rimestando fango.

L.

disco: “The Howlin Wolf Anthology”.