T’abbandono alle delicate mani che hanno cura di te mentre nel sogno ti deponi come una flebile luce. Io intanto m’alzo e vago nell’abbondanza della pioggia. Attento m’aggiro come un dolce spettro. M’affaccio appena al tuo fiato come tremando in violento maroso. Ti ascolto nella compostezza ferma del tuo viso. Guardo il tuo corpo riempire la casa come un’edera perenne. Sei tu il giardino dove aspetto le rose. L’agrifoglio del Natale. Il campo incolto che semino con mano. Il luogo dove rimango con la bocca come un aratro in disuso. Sei una larga campagna. Una sorgiva di pozzi a cui attingo l’amore. Un secchio che passa di mano in mano. Una linea di acqua nell’arida terra. Una curva di tenere ginocchia mentre seduto osservo marzo morire sotto il coltello di un feroce aprile.
L.