Archivio per marzo, 2013

Chorus #158

Pubblicato: 30 marzo 2013 in chorus

T’abbandono alle delicate mani che hanno cura di te mentre nel sogno ti deponi come una flebile luce. Io intanto m’alzo e vago nell’abbondanza della pioggia. Attento m’aggiro come un dolce spettro. M’affaccio appena al tuo fiato come tremando in violento maroso. Ti ascolto nella compostezza ferma del tuo viso. Guardo il tuo corpo riempire la casa come un’edera perenne. Sei tu il giardino dove aspetto le rose. L’agrifoglio del Natale. Il campo incolto che semino con mano. Il luogo dove rimango con la bocca come un aratro in disuso. Sei una larga campagna. Una sorgiva di pozzi a cui attingo l’amore. Un secchio che passa di mano in mano. Una linea di acqua nell’arida terra. Una curva di tenere ginocchia mentre seduto osservo marzo morire sotto il coltello di un feroce aprile.

L.

Chorus #157

Pubblicato: 29 marzo 2013 in chorus

Dietro l’angolo bianco c’era altro mare. Il cerchio umido della chiesa ingrigiva dove il sole appena compiva il suo giro. La gente diradava mano a mano come insetti. Sfiammava alta la croce in lapilli di luce. La campana un demonio a scapicollo dove la poca grazia dei pini s’abbarbicava in radici nelle magre gole scavate. Era un portare a sera la vita con grandi mani di sottile corallo. Uno sgusciare molluschi fra le reti del giorno. Tutto un chiamarsi dalle piccole finestre in legno verde. Gli scafi azzurri delle barche ceduti al vento e all’onda stanca. Una promessa e un ritardo che giacciono in alto nei rosoni  sotto l’ala di un uccello. Ricordo lo scherzo di una svolta. Quella lontananza dei passi. Quell’improvviso mare. Il tuo disperderti malinconico al tavolino di un caffè. La luce che s’accende sulla scalinata del monte. Si torna, dicesti, alla solitudine di una stanza.

L.

Chorus #156

Pubblicato: 23 marzo 2013 in chorus

La vita è tutto questo rito di voci. Un arcolaio di risate che lentamente gira con i suoi fili d’argento. Una matassa lucente. Una luna che adombra il metallo dell’altra. Non è più il tuo corpo fra il lenzuolo bianco. Non è il vuoto profondo dell’amore che secca i tuoi occhi. E’ una lingua sconosciuta agli umani. E’ vento che s’attarda fra i rami. La notte che sfuma nella caligine dei saluti. Non ti vedo ormai più. Ho poca attenzione persino del ricordo. Ho una malcelata ira che imprigiona le mie mani. Non cado nemmeno in ginocchio. Ho come abbandonato il tempio delle tue cosce. La lancinante attesa dei tuoi tremori. Lascio spingere il cuore fino al colpo finale. All’attesa della luce cedo ogni risposta. Nel sudario del buio avvolgo il mio corpo. Nel silenzio oramai esulta una giovane pioggia.

L.

Chorus #155

Pubblicato: 22 marzo 2013 in chorus

Il mio capo ha questa corona di montagne. I bianchi mattatoi delle primule e dei corvi risplendono in marzo. Il nero della strada attorno si fa disperanza. Ogni sera è un diverso destino. Una casa su una palafitta di luce. Non sei che legna gettata su altra legna. Non hai amore che non sia un fiocco di mani sopra il volgere del giorno. Un garbuglio di stracci gettato oltre un muro di pietre. Le mie gambe non hanno nemmeno più il ricordo dei passi. Il mio sangue preferisce irrorare la pianura. Far germogliare i campi. Fuggire. Diventare alto come il grano. Panificare. Restituirsi alla terra. Ogni sera mi agghiaccia goccia dopo goccia. Poi il corpo s’incurva e come spettro cerca nel sogno la sua nuova nascita. La vitrea carne giace negli angoli dove il baccano del sole non potrà mai trovarla.

L.

Chorus #154

Pubblicato: 16 marzo 2013 in chorus

Neppure la terra è ormai consolazione. Ha un gonfiore di vermi – una trappola d’arenaria e ossa. Un sotterraneo sangue che secca nelle sue profonde gole. C’è un colmo di cadavere sopra l’orlo caldo e disteso di un canto di preghiera. Un ribollire d’eternità che non ha pace.  S’ingobbisce la zolla sotto le dita della pioggia. Si frange un grumo come un infarto di radici. Si secca il tronco dove tu piegasti il capo. Portasti gli amori nelle campagne – in quelle strette curve di montagna – nei dolci declivi che tramutavano in mare. Nei venti nei venti erano delicate le labbra. Fragili le mani. La terra ha il timore dei prati. Il suo vello di fiori t’illude. Poco a poco accoglie l’alto tuffo della notte. Il moribondo pioppo si disossa come il tuo povero cuore e silenzioso muore.

L.

Chorus #153

Pubblicato: 14 marzo 2013 in chorus

Non c’è che un’uscita, una speranza. Attraverso la tenda le luci paiono riempire la terra di lutti. Sento il vento rimestare la notte come un’antica stoffa. Quel suono teso di cavi che spasimano. Quella mano fredda che raggela sopra l’erba giovane. Gli alberi soli nel dolore delle nuove foglie. Tutta la consunzione grigia dei muri. Non è che uno spiraglio il mio desueto camminare. Il mio tentativo di esser uomo. L’appoggiarsi della mia mano su ciò che divide il buio dalla luce. Il mio rimpiangerti un poco. Credo che ogni stella si estenui nella sua disumana resistenza. Così partecipo all’ellissi dell’universo. Nell’equilibrio del mio dolore  ritrovo la strada. Affondo piano un piede dopo l’altro nella tua bellissima carne. Nell’oscurità tutta ti attraverso nella campana cupa della solitudine. Ogni porta s’apre e si chiude.

L.

Chorus #152

Pubblicato: 10 marzo 2013 in chorus

Dovresti imparare dal silenzio le parole da non dire. L’alfabeto di una stanza è acre fumo di ritorno. La voce s’allontana e tutto screzia con immane forza. L’arenile intanto si svuota d’onde in qualche luogo lontano. La pianura si distende fin dove può sollevando montagne. Dentro la terra tutta agita il suo magma. Precipita all’inverso il masso scuro della notte. Fino a un tonfo sopra il petto del sole. Tu ancora trattieni le parole. T’inibisci – corpo nudo dei vent’anni – tenero bacio che attendi – delizia bianca sotto ai lunghi capelli. Ti fermi. Accosti le labbra a ciò che manca. Parli ma sei muta. Da un altro buio sono muto anch’io. Niente che ci avvicini. L’orizzonte ci divide come una lama. La tua nudità ha fallito nell’impassibilità della mia bocca.

L.

Chorus #151

Pubblicato: 9 marzo 2013 in chorus

Io la notte libero il cuore. Lo sollevo dalle pene. Lo lascio fuori nel giardino a controllarmi le rose. Così faccio con la bocca a cui cedo il cielo. Diventa come carta azzurra alla mercè dei venti. Poi nel buio profondo scardino piano gli occhi. Amanti in libera uscita nella follìa delle strade. Nel silenzio quindi mi strappo le mani. Concedo loro di scavare la terra. Di trovare un alveo di fiume dove stare. La notte cesso d’essere umano. Sono come una città fuggita alla pace. Non mi desto che alla lampada d’acqua dei tuoi occhi. Non sono che un rammendo sotto le tue pallide mani. Una specie di dimenticanza nelle cose spezzate. Chiedo in prestito il tuo corpo per l’indecenza dei sogni. Parlo con la tua bocca. Vivo con il tuo cuore – nelle ore – nelle ore.

L.

Chorus #150

Pubblicato: 4 marzo 2013 in chorus

Ho nostalgia dell’innocenza. Delle semplici arcate rosse  e della luna e dei cieli neri dell’estate. Nulla sapevo del meccanismo della vita. Degli sfiati nei muri attraverso cui s’amava la strada. Del verde impassibile sotto il faro di una pioggia. Tu chiami ingenua la mia rabbia. M’abbandoni così come una casa di legno fra le onde. Dici che sono abitato da un popolo di sognatori. So quello che muta sotto la mia pelle, conosco la morte che avanza, ma temo il sole che si declama a gran voce. Ho una strana pena, una malattia che sa di decapitata rosa. Ho in me un grappolo d’uva marcito d’insetti. Ancora avanzo attraverso questa grande sconfitta. Nella gioia di una lontana infanzia ancora mi siedo con l’antica spada. L’orizzonte fa a pezzi la mia carena d’uomo ma sopra m’ergo con la sicumera del bambino. T’attendo e ti vinco, come allora.

L.

Chorus #149

Pubblicato: 2 marzo 2013 in chorus

L’arguzia del buio ti spinge in fondo alle stanze. Mi restituisce l’assenza delle cose e delle mani. Mi abbandona al lavoro del cuore. All’argano dei nervi che muovono il mio spettro. Alla cantilena dolce di marzo. Mentre passano le ore il ricordo fa la tana nell’ombra. La terra sputa sangue sopra il bianco dei fiori. Qui giace il silenzio. La forma inumana dello spazio. Un cerchio di braccia lontane. Confondo le finestre con i tuoi occhi. Mi affaccio ogni volta sul tuo volto. In questo buio affondo la debolezza del mio corpo. Mi straccio la carne come un uccello lanciato verso il sole. Mi disperdo come una folla. Divento un urlo nella rivoluzione. Sopra il sonno degli alberi la luce s’aggruma. A brandelli ritorno all’amore sopra un immaginato giaciglio.

L.