Il tuo corpo è un intrico – è questa strada invasa dai rovi – questa rivoluzione che si urla nelle strade e che la pioggia smorza – azzitta e un poco consola. Nell’elastica curva delle tue ginocchia – s’incava il buio come un mistero – la trincea – dentro cui do riparo – alle mie terribili assenze – è colma d’acqua e di malattia. E’ un frantoio – l’amore – il perpetuarsi di una macina – nel suo largo giro – mentre lo scricciolo fa tana – nei naturali ripari dalla neve. Pare – la primavera che aspetta – la tua bocca. Il tuo sonno ha quell’attesa – terribile – di gioia – quel salto di fiato – (disincanto) – che interrompe la mia serenità – già ferita a morte. Il tuo corpo non ha più frontiere di piedi – di mani – l’arco del collo – è un tormento di vertebre. Io non conosco più la strada del ritorno – m’arresto come il sangue – e aggrumo – al pianto lontano dei cani – alla carne tua – che si scuote – e riposa.
L.