Archivio per giugno, 2013

Chorus #176

Pubblicato: 29 giugno 2013 in chorus

La strada ha il fragore di un torrente in piena. Un acuto sibilo di corpi. Un liquido espandersi ai muri gialli delle case. Non capirai mai la sospensione degli sguardi o l’incauto muoversi delle mani o i fremiti delle cosce. Ogni cosa affonda nelle tenebre dei fondali. Resta come un relitto nella pace dei giardini. Curva s’estenua la resistenza dei larici all’ingombro degli amori. S’allaga anche il cielo di nulla. Si colma la luce di pioggia. Scivola la città sul pendìo volgare delle grida. Frana – frana – frana. S’accartoccia di cemento e sassi. S’inghiotte come fa il dolore con la vita. Singulta. E oltre – nella pianura che si stende – tu non torni. S’adagia la speranza come un vascello ferito a morte. Gli alberi spezzati dal piombo dei giorni. Le vele ai venti – bianche – come i tuoi seni. Si salva la tua bellezza nella pozza di una nuvola – che guardo.

L.

 

Chorus #175

Pubblicato: 22 giugno 2013 in chorus

Giungi e mi è negato – per qualche ora – il grave suono della tempesta. T’insinui come una mano. Un’alta benedizione scura che tace l’adorazione volgare della folla. Dilaghi nelle stanze come una muta di cani. Apri il legno delle porte come se tu fossi la chiave per  calare sulla mia carne e lenirne le piaghe. Hai una baldanza d’amore che è solo uno sguardo gettato sui granai di giugno. Un vento un poco freddo che mulina le cose morte dei cortili. Non puoi che odorare di lago e di limo. Il tuo corpo espanso ha la sensualità degli universi e le labbra socchiuse dei tigli. Arroventata schiena di donna distesa come in perenne attesa. Qualcosa di bianco nel calore delle finestre. Ad ogni svolta rechi il giorno al tuo guinzaglio. Appena ti volti il mio sguardo è fisso sui tuoi orizzonti. La calma dei tuoi baci ha le fasi della luna. Sotto sta il mio sonno stanco e il chiasso del mio folle perseverare.

L.

Chorus #174

Pubblicato: 16 giugno 2013 in chorus

Forse dovrei star qui a piangere per l’umanità. Espandermi come quei temporali che accumulano nuvole e nuvole e invadono le pianure e le montagne e scendono – poi – i gradini al mare come pallidi gentili turisti divorati dal cancro o dal colesterolo o dalla solitudine. Dovrei essere come una piazza gonfia di canti e di braccia e di utopia e di rivoluzione. Una nube famigliare fatta di bermuda e bambini e secchielli per la sabbia e biglie colorate e cabine azzurre e rosse sui meridiani delle spiagge. Dovrei avere la forma di una folla nell’ombra infinita di giugno. Invece ho poca voce. Ho il pesante ricordo dei corpi sopra il bianco dei materassi. La forma del tuo dispiacere sotto l’amore delle mie parole. Ho un dialogo con l’assenza a cui porgo i miei fiori migliori. Guardo nelle luci delle case. Aspetto che ogni finestra si spenga e torni all’intimità di una stanza. Ho appena – dolce – una calma attesa. Sollevo la mia carne come un lenzuolo e appena sotto faccio riposare il mio sangue come un figlio.

L.

Chorus #173

Pubblicato: 13 giugno 2013 in chorus

Lasciare defluire l’ombra sul soffitto. Improvvisa come una ragnatela di mezzanotte tesa fra dov’era il bianco della luce e l’annerita avanzante cenere delle ore. Nulla mi sfugge nella scomposta risata del mio corpo. Nell’addiaccio della mia casa ritiro le mie ginocchia come fossero piccole barche slavate dal mare. Gentili bianchi relitti vivi su arenili e arenili di pallida consunzione. Una lunga stanca attesa vissuta da finestra a finestra di questo grande mattatoio. Io sono l’ecatombe di un ragno capovolto. La squisita bellezza dell’impossibilità. L’arcano ingranaggio di vita che smuove una pallida luna attorno al perno del campanile. Sono un profondo silenzio e un fossile d’ossa nell’era paleozoica degli amori e delle stanze.

L.

Chorus #172

Pubblicato: 8 giugno 2013 in chorus

Guardo e ogni muro è come di città affondata. Precipitata nell’oceano silenzioso degli anni. Immobile come un’anfora. Antica fra i suoi coppi d’allora e i suoi gradini bianchi. Resiste alla tua magrezza e alla mia solitudine. Ancora e ancora avrà la sua calce al sole e i suoi splendidi occhi di ruggine rivolti all’uva d’ottobre. Un guazzabuglio di rami vortica al primo temporale d’estate. Sui terrapieni i ciliegi affrontano il cielo nel tepore di giugno. Nascosta è una serpe senz’altro sotto l’umido dei sassi. Una chiesa da lontano ha il consueto sorriso che squarcia i boschi come un’ascia di santissima luce. Quasi nulla rimane. I giorni si sono abbattuti come grandine sulla vendemmia e sulle rose. Le stanze sono luci spente. Io stesso sono un fantasma claudicante sulla terra bagnata di pioggia. L’amore qui non ha speranza. Attende il calabrone di fare il nido nel tuo povero cuore.

L.

Chorus #171

Pubblicato: 1 giugno 2013 in chorus

Non sono ancora tornato a casa. Giugno non ha le strade più dolci. Nulla appare fiorito e colmo di foglie. L’aria è tutta un brulicare di lumi confusi nella condensa della pioggia. Ogni casa è un’isola che non ha attracco. Un porto in fiamme. I tuoi baci sono cavalli bradi e selvaggi che evito a fatica. Hanno una criniera d’inganno nel vento impetuoso. Sono solo. Il giorno è una guaina che stringe con i suoi lacci di dolore. Il mio scheletro è un giunco in uno stagno di fango. Qualcosa di simile al ripetersi dei giorni. Uno spasimo secco nella pianura fino a dove il tuo occhio riesce a guardare. Vago nelle ombre dei leoni di pietra. Nella lunga vallata dei campanili muti s’alternano il giorno e la notte. Quando sarò alla tua porta lasciami al bianco delle tue gambe – riportami in salvo – accoglimi.

L.