Archivio per la categoria ‘Musica’

All The Things You Are

Pubblicato: 28 luglio 2011 in Musica

Ritrovarsi nel buio a fischiettare “All The Things You Are”, come se tu dormissi ancora sotto la coperta nera dei tuoi capelli e io stessi, come in quel tempo, sorpreso a guardarti nel tepore dei sogni, nel movimento delle labbra, e non volessi far rumore, svegliare i macchinari dei cieli, le leve enormi dei tramonti e delle albe, sfinire la notte con i miei passi pesanti. Rimanere così, dietro gli elementi del tuo corpo steso, alla ricerca di un dio. La verità della tua mano più della Croce sul calvario. Redenzione & jazz & amore & Bird & la tua gamba bianca arresa. Ora il tempo è finito. Scivolato nei lunghi vuoti dei risvegli. Nell’archeologìa sentimentale delle tue risate scavo la tana della mia prossima vita.

L.

Death Don’t Have No Mercy

Pubblicato: 23 Maggio 2011 in Musica

Tears & blues. Mi sembra di sentire ancora i miei nervi scuotersi nei temporali dei miei vent’anni, infangarsi nella pioggia, mentre i Grateful Dead, attraverso il Rev. Gary Davis, cantavano “Death Don’t Have No Mercy”, al Fillmore West, anno di grazia 1969. Quell’assolo di Jerry, la sua voce sofferente, la Morte che sorrideva con un violino fra le sue mani e un bouquet di rose uccise una ad una dal vento. Non credo che i ragazzi di Frisco l’abbiano più cantata così. Pig Pen, gonfio e splendido, moriva sotto i suoi baffi, a poco a poco. Io restavo a contarmi le ferite. Le morti. Gli addi. E non capivo. Ero sangue ed entusiasmo. Testa fra le mani nel dolore assurdo di questa canzone. Nella perfezione acida della musica. Ossa e solitudine. Cielo e gabbia di stelle. Tamburi di stagioni. America, oh America, dove sei? Una lenta trivella nell’incrostazione della Terra, alla ricerca della luce. Oh, America, prendi quella morte di carne e vene rotte e trentacinque chili. La morte non ha pietà in questo mondo. Fai quello che devi fare, nello splendore del sole.

L.

disco: “Live/Dead”, Grateful Dead.

Oh, Sister

Pubblicato: 15 Maggio 2011 in Musica

Ascolto questa versione di “Oh, Sister”, Bob Dylan, fatta da questi misteriosi “String Quartet”, a quanto pare dediti ai tributi più disparati. Ascolto e riascolto. La solitudine, lo struggimento di una canzone già così suggestiva nella sua versione originale, con il violino di Scarlet Rivera e quella voce che sapeva di sconfitta e d’abbandono, vengono qui amplificati dai suoni classici di un quartetto d’archi, atterrendo. La fascinazione dell’Arte che muta, che si dissolve per riaversi in nuove forme. Resto così, nella mia stanza che è ormai organismo vivente di me stesso, quasi recipiente cronenberghiano, pulsante carne tesa verso il cielo, organismo onnivoro e decadente. Sullo sfondo di questo violino c’è una sera che sa di post battaglia, quando si sa che la guerra non è vinta, ne lo sarà mai. Una sera che ha la sua catarsi in questa canzone. Si siede col sole, in un abbraccio confuso di nuvole.

“Siamo cresciuti assieme dalla culla alla tomba. Siamo morti e rinati e misteriosamente salvati”.

L.