Archivio per agosto, 2013

Chorus #189

Pubblicato: 24 agosto 2013 in chorus

Vi sono dei nascondigli – delle tane – uguali al bianco delle stanze. Forse il buio arriva prima ai vecchi pini – s’indora di resine – ramazza le foglie – e lentamente poi risale scuro al tuo piccolo letto.  Spegne i boccioli d’ogni tuo adorato fiore. Indugia appena come una tenerezza improvvisa – uno scarto di tempo – un orologio che s’incanta. Ha un imbarazzo la notte quando ti sorprende. Si ferisce di luce – quand’appena coglie il tuo abbandono – il tuo pianto. Si creano assenze e assenze – sotto le trombe lunari. Il fragore delle tue ginocchia – il vuoto delle tue braccia – la vela alta dei tuoi seni – la curva rosa della tua scapola: la tua lontananza è una geometria – un’espressione – un calcolo – un dardo tirato dentro al caos. Lancinanti – intanto – lavoran – le ore.

L.

Chorus #188

Pubblicato: 22 agosto 2013 in chorus

Cosa ti ha portato qui. Le finestre cominciano a chiudersi poco a poco. Ogni parte di te richiama settembre – scivola incauta dov’è più freddo – s’increspa la tua bocca come una foglia malata. S’innerva il tuo piccolo cuore fra gli anfratti della terra e le ultimi rondini nel loro lunghissimo volo. Non porti calore – o lacrime – o rinascita – o nuove strade. Rechi il tuo corpo come una sentenza. Come una spada affilata dagli anni. Ascolta la cantilena delle ombre. Cosa ti ha portato qui? Quale disorientata stella? Tutta quest’assenza che tu trasformi in parola – in magniloquenti alchimìe in bronzo e carne. Una sottile campana d’abbazia che rintocca e rintocca nel vasto nulla del cielo. Perfetta t’ergi sopra il muto campo della mia solitaria deriva. Non colmi ormai più l’incavo bianco del mio profondo dolore. Risuoni – lontana – nella vasta pianura.

L.

Chorus #187

Pubblicato: 17 agosto 2013 in chorus

Tutto poi tace: le posate di metallo, le porcellane, gli schianti delle finestre, i piccoli cani al guinzaglio, i pianti. Ogni peccato è assolto attraversando l’arcata di una chiesa. Nelle absidi s’accalcano luci e luci di candele. Fuori amoreggia agosto alzando la gonna dell’autunno. Il nodo bianco delle tue gambe – sempre più raccolto agli sguardi e alle mani – imbeve l’aria dolce della festa. Il gesso delle statue ambisce al cielo come negli attimi della morte. Si frantuma il fragile idillio fra la santità e la tua bocca. Si rinnova il miracolo del nulla appena volti il capo. Allora ci unisce il silenzio. Le ore nere della notte. Il tuo petto che dorme. Il rosso cupo del sangue che spinge i nostri cuori. S’arrota di vortici il sole che s’estenua fra le nuvole. Le strade sono vuote e ogni carezza è vana sotto il freddo delle tue mani. E’ una terra d’eserciti e baionette e mute di cani col tuo nome. Le mie povere ossa sono già cenere.

L.

Chorus #186

Pubblicato: 10 agosto 2013 in chorus

Arrivi come un’ombra – inscindibile il tuo corpo si muove nella doppia luce dei campanili. Nell’arco teso fra la coscia e il tuo fianco brulica la carne sotto la disperazione delle mie mani. La curva nuda s’addensa di ore. Tracima silente poco prima dell’alba – diga disfatta – fango – foglie – dolore. L’estate rinuncia ai suoi insetti di fuoco. Si fa docile come un cane malato. Ti ricopre come seta e acqua. Non ha con sè la violenza dei venti – l’armata nera delle nuvole – le urla – le voci degli eccidi. Io sono pronto. Nelle stanze ti ho perduta – sei come una luce spenta dentro al freddo dei boschi. Il tuo seno trema come fumo di terra. T’attraverso come una lama – uno spettro – un incendio.  Mi volto alla tua bocca – cenere – cenere – sotto al sole.

L.

Chorus #185

Pubblicato: 3 agosto 2013 in chorus

C’è l’inutilità di una palma nella bocca atroce della notte. Infilzata come una spada sui lunghi campi di battaglia. E tutto sanguina gatti e spaventoso buio e disperate luci e vene di alberi che s’innalzano verso le stelle e spacchi nelle strade e terremoti e danze e il tuo profumo e sesso e bottiglie e vetro e una piccola mano bianca. Ogni cosa torna alla terra con uno schianto. Ogni piccola ferita s’apre e attende nuova carne. Ogni cosa muore e si rigenera ai tamburi delle foglie. S’allunga un tenero vento come un de profundis. Il silenzio ha l’affanno della meraviglia. Il passo del tuo corpo nei solstizi delle stagioni è il nuovo frutto di cui mi nutro. La tua grazia è il midollo che rigenera le mie ossa. Il ponte antico sotto il quale lento scivola il mio fiume. La conca dove sprofonda l’acqua a nutrire altra terra – altra vita – altre distanze.

L.